Matteo Stocco

Direttore Generale ASST Santi Paolo e Carlo di Milano 

 

“Mai mollare! Never give up!”

“Sono Matteo Stocco, Direttore Generale dell’ASST Santi Paolo e Carlo di Milano. È l’ottavo anno di mandato, sono uno dei Direttori Generali più giovani: ho iniziato a quarantaquattro anni, ho cambiato tre aziende e… è il lavoro più bello del mondo! Mollare, io non mollo mai, ma questo a prescindere, in qualsiasi campo. Io facevo l’operaio da giovane, ho cominciato a diciotto anni e facevo l’apprendista cablatore elettronico, per cui se c’è una cosa che non posso fare è mollare. Mai.”

“Covid-19 è una pandemia nata sui media, è stata leggermente sottovalutata, e… quando è arrivata da noi ha modificato profondamente il modo di vivere. Lo si vede ancora adesso, basta girare la sera nei paesi e nelle città per scoprire che siamo tutti più abituati a stare in casa di quanto fossimo prima. Mi viene alla mente un silenzio, soprattutto nell’ufficio del San Paolo: aprendo le finestre non si sentivano le macchine, le voci; si sentivano solo le ambulanze e il suono caratteristico dei respiratori… cadenzato. Ripenso alle domeniche passate qui in call con la Regione e con l’ATS e al telefono, alla ricerca dei DPI in giro per il mondo. Ecco, questo è un po’ il ricordo… E poi un altro ricordo bello, ma per modo di dire, che era quello delle tangenziali vuote. Arrivare la mattina era uno spettacolo, avevi tre corsie libere… Incredibile!“

”La giornata lavorativa, in termini assoluti di ore, a parte i sabati e le domeniche, non è che sia stata stravolta, poi io sono sempre stato abituato a lavorare il sabato. Sicuramente è stata stravolta la percezione del lavoro perché, quando fai il Direttore Generale, tendenzialmente lo fai perchè ti piace pensare ai modelli organizzativi, a come dovrà diventare una struttura, quali investimenti fare… vorresti lasciare un segno magari di quello che è il tuo passaggio, di quelle che sono le tue idee. Noi abbiamo vissuto, e stiamo vivendo, un periodo in cui abbiamo visto grandi capacità, una grande resilienza negli operatori, tutti: dagli infermieri, ai medici, all’organizzazione, con l’unico scopo di essere disponibili sempre e subito ad accogliere una determinata tipologia di pazienti, che è quella dei positivi al Covid, nelle varie fasce di gravità della patologia. Il paziente positivo asintomatico devi tracciarlo, devi organizzare un sistema di verifica, a casa anche, dello stato di salute; quelli con le CPAP hanno bisogno di determinate tipologie di strumentazione, con quelli ricoverati in RIA (Rianimazione) hai delle problematiche diverse… quindi se siamo diventati monospecialistici, di fatto, questo ha modificato la vita degli operatori in prima linea, in primis, e anche la nostra, credo, perchè abbiamo dovuto cercare di trovare delle soluzioni… nessuno era preparato a questa cosa. Nessuno, credo.”

“Il momento peggiore per me è stato una domenica mattina, qui, in questo ufficio, quando avevamo la rendicontazione dei camici presenti a magazzino, che non erano sufficienti a garantire il turno del lunedì mattina. Quindi è stato, almeno per me che non avevo a che fare con i pazienti, un momento abbastanza importante, perché avevo davvero il timore di dover comunicare alla Regione che avremmo dovuto spostare i malati. E non sto parlando di due malati, ma avevamo trecentocinquanta/trecentottanta ricoverati in contemporanea e non avere i camici di protezione è stato un dramma! Fortunatamente era ancora l’inizio, adesso questo problema non c’è più: i magazzini sono pieni, però riuscire a recuperarli è stata dura. I nostri addetti al magazzino sono partiti, ricordo che una domenica pomeriggio sono andati in un altro ospedale a recuperare duemila camici, e insomma… sembra banale, però io la responsabilità me la sentivo addosso. Tra l’altro, noi siamo stati l’azienda con il minor numero di contagiati tra i dipendenti, in tutta la Regione. Abbiamo avuto un tasso di infezione bassissimo, penso intorno al 2,4-2,5%. In quel momento mi sentivo tutta la responsabilità addosso, perché io non avrei mai dato indicazione di lavorare senza DPI e dall’altra parte avevo il mio datore di lavoro, che è la Regione, al quale stavo per chiedere formalmente il trasferimento dei malati. Quello è stato il momento più brutto.  Il momento più bello probabilmente è stato quello della riapertura, sì, insomma, che è stata graduale, non è che abbiamo riaperto tutto, sempre, abbiamo fatto lo switch off e avanti che si va… però rivedere un po’ ripopolarsi l’ospedale, quando è calata la tensione, ha reso le giornate più rilassate. Siamo riusciti a far partire anche il progetto della Robotica, quindi abbiamo avuto i pazienti oncologici… Poi l’Innovazione, è ripartita un po’ quella che doveva essere l’idea di un anno e mezzo fa, di riprendere i progetti abbandonati.  Andare nei reparti e vedere delle persone sorridenti: questo è uno dei momenti più belli di questo periodo buio.”

“Io per il futuro mi aspetto che tutti quanti non ci dimenticheremo di quello che è successo, ma non tanto perché ci ricorderemo, sì, magari qualche momento, ma proprio perché è cambiata la vita… è cambiata la vita a casa, ma anche qua. Mia moglie lavora per una multinazionale, ormai va in ufficio, ma sta a casa due settimane, o va in ufficio una e sta a casa l’altra; oramai stare a casa a fare smart working o andare in ufficio, dove non c’è più nessuno, è uguale, lo percepisci dai colloqui che hai con le persone che frequentavi prima e frequenti anche adesso e la vita è cambiata anche nei rapporti sociali, nella scuola… Avendo due figli a scuola, capisco che le cose son diverse;  gli è andata di lusso l’anno scorso, in scia al Covid, però anche nei loro rapporti sociali si è modificato molto: stanno molto di più online, non si vedono più molti ragazzi in giro; ce ne sono, ma non è più un modo di vivere festaiolo. Per quanto riguarda i contatti, vabbè, i baci sulla guancia non mi sono mai piaciuti, ma neanche i gomiti, le caviglie… è diventata una pantomima, siamo diventati anglosassoni. Come gli americani che si tengono a due metri di distanza… non gli ha giovato molto, ovviamente, sono messi peggio di noi.”

”Una frase per salutarci? Mai mollare! Never give up!”

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