Lucia Negroni

Direttore medico di presidio Ospedale San Carlo Borromeo

 

“Ne usciremo un po’ più poveri dal punto di vista economico, ma con una maggiore forza sociale”

“Sono Lucia Negroni, Direttore medico di presidio del San Carlo facente funzioni da un anno e mezzo, lavoro qui però già dal 2008. La funzione della Direzione medica sta in mezzo tra la parte sanitaria e la Direzione aziendale.”

“Covid-19 è una parola impegnativa che fa scaturire parecchie emozioni, che in tutti questi mesi abbiamo avuto poco tempo per metabolizzare; questa pandemia ci ha colpito profondamente e in maniera assolutamente inaspettata. Inaspettata e devastante, perché è stato proprio uno tsunami! Non ho mai visto e vissuto fortunatamente uno tsunami vero, ma l’impressione era proprio quella, di vedersi arrivare qualcosa che stava montando e che inesorabilmente ci avrebbe colpiti e probabilmente affondati, per cui abbiamo vissuto veramente dei momenti di terrore, sia professionale che personale.”

“Professionalmente non è cambiato molto, però abbiamo lavorato incessantemente: le notti, i sabati e le domeniche senza riposi e senza un attimo di tregua. È stato tutto molto impegnativo, ci siamo dovuti adeguare a una realtà molto diversa, cambiare registro, rivedere le nostre priorità, sia professionali che personali, e abbiamo dovuto, nostro malgrado, creare delle reti, istituire una “unità di crisi”. Abbiamo imparato che il confronto quotidiano, anche con scontri rispetto alle decisioni da prendere, è fondamentale per poter arrivare a un risultato: senza non vai da nessuna parte. Creare una rete è indispensabile per vincere “la bestia”… sicuramente questo ci ha fatto crescere, professionalmente siamo più consapevoli che non ci possiamo isolare nei nostri piccoli troni, o nei nostri piccoli regni, perché altrimenti non si va da nessuna parte.” 

“Dal punto di vista personale, invece, io ho avuto la fortuna di avere la famiglia a casa che, anche negli orari più impensati, quando arrivavo, mi accoglieva; ho una famiglia impegnativa perché ho tre figli grandi e ognuno ha la sua vita, ma in quel periodo, quando arrivavo a casa, li trovavo tutti lì. Sono riusciti a mettere in piedi un sistema anche loro, quindi l’azienda-casa è diventata un insieme di competenze: c’è chi ha cominciato a cucinare per tutti, chi caricava e svuotava la lavatrice e così via. Sono stata molto coccolata… però dopo un po’ l’isolamento domiciliare, questo “lockdown” ha portato qualche difficoltà anche ai ragazzi. Noi eravamo presi qui dall’affanno di lavorare troppo e di là, in famiglia, c’erano altre criticità: l’università, gli studi, la pallavolo… Tutto bloccato, tutto fermo… Abbiamo vissuto dei momenti difficili!”

“I momenti peggiori?… ce ne sono tanti… però uno è stato forse quello di rendersi conto che non ne saremmo rimasti indenni: abbiamo cominciato ad avvertire che la marea montava, il numero dei pazienti negli altri presidi, in Lombardia, stava aumentando e ci siamo resi conto che sarebbe successo anche da noi. Ricordo la sera in cui il Dottor Salmoiraghi mi ha contattato per dirmi che dovevamo aprire dei letti Covid: noi fino a quel momento eravamo ancora “Covid-free” e in una nottata abbiamo aperto un reparto di venti posti letto per caschi e pazienti in terapia sub-intensiva, che arrivavano dalle “zone rosse”. È stato il momento peggiore, ma anche quello che ci ha dato maggiore soddisfazione, perché abbiamo capito che potevamo farcela: in quella quella notte tutti si sono dati da fare: la caposala, gli infermieri, i medici… sono rimasti tutti in servizio per svuotare un reparto e renderlo attivo per accogliere questi pazienti. Quindi: il bello e il brutto insieme…”

“Mollare tutto? Eh… tante volte l’ho pensato, tantissime! La pressione alla quale si è sottoposti, con tutte le responsabilità conseguenti, ovviamente fanno sì che ogni tanto ci siano momenti di cedimento psicologico, però il mio lavoro mi piace e mi soddisfa, è molto faticoso dal punto di vista emotivo, perché è un continuo contatto con primari, con servizi dell’ospedale, per trovare le soluzioni più idonee: tutti hanno sempre un’aspettativa nei confronti della Direzione medica. Alla fine, però, ho imparato questo ruolo che dà anche soddisfazioni, se riesci a creare i rapporti giusti, i collegamenti giusti.”

“Io credo che la pandemia ci abbia anche un po’ educati, nel senso che lavarsi le mani, togliere le scarpe quando si entra in casa si doveva fare anche prima; la mascherina, vabbè, è una limitazione, ma il fatto di non andare a scuola quando hai un raffreddore doveva esserci anche prima: sono regole fondamentali igienistiche di base che chiunque dovrebbe rispettare! La comunicazione in questo caso è fondamentale, altrimenti si creano opinioni distorte. Dalla base scientifica non possiamo prescindere, quindi bisogna comunicare bene quali motivazioni ci portano a fare determinate scelte, creando delle reti che ci permettano di fidarci l’uno dell’altro. Credo che sia questo il messaggio positivo che possiamo dare. Poi, sicuramente, ne usciremo un po’ più poveri dal punto di vista economico, ma secondo me con maggiore forza sociale, spero… me lo auguro!”

 

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